Natale. Quel periodo dell’anno che spesso viene associato nell’immaginario collettivo alla gioia, al buon cuore, alle azioni generose e disinteressate. Luci colorate, ghirlande, regali, alberi e presepi, uno dei momenti più attesi e amati dell’anno, la cui rappresentazione più iconica è forse il Christmas Carol di Charles Dickens, dove anche un vecchio avaro senza cuore finisce per essere toccato dalla magia del 25 dicembre. Letteratura e cinema hanno attinto copiosamente da questa festività, dai suoi simboli e dalle sue tradizioni, per declinarla nei modi più disparati; drammi, commedie, musical persino film d’azione hanno al centro la festa di Babbo Natale e dell’agrifoglio. Ma se, salvo eccezioni, in America il Natale è il tripudio dei buoni sentimenti, i cattivi Natali sono all’italiana.
Vacanze da Cortina a Marte
In Italia, almeno dai primi anni 80′, il Natale ha finito per essere associato a quel filone cinematografico divenuto poi noto come Cinepanettoni, commediacce goliardiche e sostanzialmente ripetitive nello schema narrativo che prevede tradimenti coniugali e procaci incontri erotici tra ricchi borghesotti in vacanza in mete esotiche, in cui il Natale è per lo più in pretesto per dare uno sfondo comune alle vicende, conferendo un certo contrasto tra la purezza della festività e il volgare cinismo stereotipicamente italiano dei personaggi.
Nell’arco di più trent’anni il filone Cinepanettoni dei fratelli Vanzina e Neri Parenti interpretato dal duo Chistian De Sica – Massimo Boldi, tra divisioni e riconciliazioni, è arrivato fino ad oggi con In vacanza su Marte, dimostrando come la realtà sia più incredibile della sua parodia, giacché l’idea, in chiave satirica, che in assenza di altre mete esotiche un ennesimo cinepanettone sarebbe stato ambientato nello spazio era già venuta agli autori di Boris, nel lungometraggio del 2011 tratto dalla serie.
Fortunatamente tra una vacanza a Cortina e un viaggio in India, in Egitto, in Sud Africa o su Marte, il nostro cinema ha saputo usare il suo proverbiale cinismo in chiave anti-sentimentale per realizzare pellicole in grado di sfatare il mito della bontà umana in occasione della nascita del Bambin Gesù senza scadere nella greve trivialità e negli scontate, prevedibili e banali intrecci che hanno caratterizzato i fin troppo monopolizzanti Cinepanettoni.
Qui di seguito stilleremo una piccola lista di film che, in questo bizzarro Natale in pandemia pieno di divieti e zone rosse, ci ricordano con quella commistione nostrana di tragico, comico e una spruzzata di grottesco che l’uomo è un animale che si nutre di ipocrisie, miserie e meschinità anche nella notte più felice dell’anno.
Poker Natalizio
Al primo posto non poteva ovviamente mancare Regalo di Natale (1986) di Pupi Avati. Il regista bolognese scardina qui ogni mito sulla presunta bontà tra esseri umani, con un film così cupo da oscurare anche le luci del più sgargiante albero di Natale.
E’ la sera della Vigilia e quattro amici si incontrano nella villa di uno di loro per giocare a poker. C’è anche un quinto partecipante, l’ eccentrico avvocato Santelia (Carlo Delle Piane) che, noto per essere un brocco con le carte, è l’ inconsapevole e immancabile pollo da spennare della serata. L’incontro è stato combinato da Ugo (Gianni Cavina), misero annunciatore di una tv privata, divorziato e perennemente in bolletta, che vuole approfittare dell’occasione per rifarsi economicamente ma soprattutto per riconciliarsi con Franco (Diego Abatantuono), un tempo suo migliore amico con cui litigò a causa di una donna. Quest’ultimo, giocatore professionista, quando scopre della presenza di Ugo vorrebbe declinare l’invito, ma scoprendo di essere ad un passo dal baratro finanziario per diversi debiti che ha accumulato, accetta di partecipare a patto che ognuno giochi per sé senza fare squadra comune.
Scandito dalla malinconica colonna sonora di Riz Ortolani, e nonostante sia ambientato per tre quarti intorno al tavolo del poker, la pellicola non perde mai la sua tensione e riserva un inaspettato colpo di scena finale che qui non riveliamo per coloro che ancora non hanno usufruito della visione, ma se già le premesse ci immergono in una umanità gretta e meschina, dove le luci e gli alberi sono solo un triste sfondo consumistico per una nottata dove tutto ciò che conta è arricchirsi a spese di altri, il finale è indubbiamente il colpo di grazia dell’amarezza e della disillusione.
Attorno alla tavoletta verde troviamo un ottimo gruppo di attori, i bravi comprimari Alessandro Haber e George Eastman, poi Gianni Cavina, bravissimo nel rendere la grottesca meschinità disperata di Ugo, ma svettano soprattutto Diego Abatantuono, reduce dai ruoli trash del “terruncello” alla Eccezzziunale…Veramente e Attila Flagello di Dio e qui nella sua prima interpretazione cinematografica drammatica e soprattutto Carlo Delle Piane, vincitore della Coppa Volpi, che delinea con il suo avvocato Santelia un personaggio indimenticabile, all’apparenza patetico e risibile, ma con un barlume inquietante e manipolatore negli occhi.
Nel 2004 è stato girato un più che dignotoso sequel, Rivincita di Natale, con lo stesso cast, che mantiene integro lo spirito dell’originale.
Natale a Sulmona (Abruzzo)
Al secondo posto Parenti Serpenti (1992) di Mario Monicelli.
Uno dei registi più caustici e legato al concetto di tragicommedia del nostro cinema ci regala una vera e propria famiglia disfunzionale, apparentemente unita e felice ma sotto cui cova il germe dell’ipocrisia e della grettezza. Ci sono Michele e Lina (Tommaso Bianco e Marina Confalone) l’uno cacciatore iscritto alla DC, l’altra nevrotica bibliotecaria, e il figlioletto Mauro, narratore extradiegetico della storia, poi Filippo e Milena (Renato Cecchetto e Monica Scattini), l’uno maresciallo dell’Areonautica, l’altra casalinga “famosa” per aver partecipato ad un telequiz, di cui è appassionatissima, Alessandro e Gina (Eugenio Masciari e Cinzia Leone) – lui impiegato alle poste comunista, lei procace e sospetta adultera nei suoi confronti – con la figlia Monica, ragazzina sovrappeso che sogna di diventare una ballerina di Fantastico, e infine Alfredo, (Alessandro Haber), professore di italiano scapolo e segretamente omosessuale.
Ogni dicembre i tre nuclei familiari, più Alfredo, si incontrano come da tradizione in casa di Saverio e Triste (Paolo Pannelli e Pia Velsi), genitori di Lina, Milena, Alessandro e Alfredo e nonni di Mauro e Monica, che vivono nel piccolo paesino di Sulmona in Abruzzo. E qui, tutti gli anni, la visita è scandita dai consueti rituali; cenone, processione, messa, tombolata. Questo fino a quando i due vispi vecchietti non annunciano che, ormai provati dall’età, hanno deciso di lasciare la casa e parte dei loro cospicui beni in eredità a colui tra i figli che li accoglierà nelle proprie mura per ultimi anni che restano loro da vivere.
La notizia è la miccia che fa letteralmente scoppiare i rapporti tra il parentado, tutti decisi a non accollarsi il peso dei due anziani che minerebbero la loro intimità, ma anche concordi a non rinunciare a pezzi di eredità.
Tutti i rancori e i segreti fino a quel momento sottaciuti vengono a galla; la latente omosessualità di Alfredo, l’odio covato verso Gina, rea di aver cornificato più volte Alessandro, il fatto che tra il gli uomini con cui quest’ultima è stata c’è anche Michele. Un escalation di meschinità che porterà alla drastica e cinica decisione finale : eliminare i due nonnetti simulando un incidente domestico la notte di Capodanno.
Forse non il migliore Monicelli, sicuramente non ai livelli de I Soliti Ignoti o Amici Miei, ma è comunque un buon cocktail al vetriolo che fa brandelli della presunta unità familiare sotto le feste con un finale nero e beffardo, che ancora una volta per chi non l’avesse visto non riveliamo.
I miei più servili auguri per un distinto natale e uno spettabile anno nuovo
L’ultimo film che riportiamo non è in realtà un film a tema natalizio. Anzi, ad essere precisi non è dell’intero film che vorremmo parlare ma di una sua specifica sequenza che non pur non durando neanche 10 minuti rappresenta un piccolo capolavoro non capolavoro. La pellicola in questione è Fantozzi (1975), di Luciano Salce.
Il primo capitolo della saga, nata prima come programma radiofonico poi come romazi e infine approdata al cinema, inventata e interpretata da Paolo Villaggio nei panni del celebrerrimo ragioniere Ugo Fantozzi, inetto e sfortunatissimo impiegato di una mega-ditta, simbolo dell’alienazione dell’uomo medio dell’Italia post boom economico, protagonista di disavventure tragicomiche e amare, da cui non può che uscire eterno sconfitto e perdente.
Nella sequenza dedicata alla notte di Natale, Villaggio con la sua passione per l’eccesso e la crudeltà, ci regala un momento di efferrata atrocità morale ma anche di rara e commovente umanità all’interno del corpus fantozziano. Come da tradizione i dirigenti della maga-ditta, opulenti smargiassi con improbabili titoli nobiliari – festeggiano il Natale nel loro ufficio-attico scambiandosi panettoni d’oro e champagne pregiati e facendosi sollazzare dai figli degli impiegati a cui regalano un panettone alla lettura di una filastrocca (preferibilmente servile nei loro confronti).
L’immagine, già di per sé agghiacciante e classista, rasenta l’insopportabile quando Mariangela (Plinio Fernando), la figlioletta di Fantozzi, bruttina e sgraziata con lineamenti facciali vagamente scimmieschi, recita la sua filastrocca di fronte agli odiosi dirigenti che iniziano a deriderla senza pietà, lanciandole pezzi di panettone come un animale dello zoo e appellandola come “Cita”. Fantozzi assiste al penoso spettacolo e dopo aver fatto, con una disarmante freddezza, i suoi servili auguri ai plutocrati, lascia con dignità l’ufficio portando via la figlioletta mano nella mano e consolandola con una deliziosa menzogna, ovvero di essere stata paragonata niente meno che a Cita Hayworth (sic), bellissima attrice americana. “Ma tu sei molto più bella di lei” aggiunge il padre. “Forse”.
Perché in fondo la cattiveria è un’arma che se usata a dovere può anche farci commuovere.
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