In questo post, mi propongo di prendere in esame uno degli aspetti più caratteristici del genere umano, cioè la mortalità. In particolare, non intendo focalizzare l'attenzione sul concetto di mortalità in sé ma mi limiterò ad analizzare il modo in cui l'umanità si approccia alla mortalità. Non tratterò questo argomento da un punto di vista esclusivamente filosofico, ma cercherò di coinvolgere riflessioni maturate da importanti scrittori in ambito letterario. Ho scelto di affrontare questo tema richiamando alcune brillanti osservazioni proposte in ambito letterario e filosofico in ordine cronologico dai poeti filosofi Tito Lucrezio Caro e abu al ‘ala al ma‘arry e dal filosofo Martin heidegger.
Secondo Lucrezio, la morte è qualcosa che non ci deve preoccupare perché non ci riguarda affatto. Infatti egli puntualizza, nella sua opera “De rerum natura”, come la migliore terapia contro la morte consista nel pensare che quando essa è presente noi non ci siamo e di conseguenza quando noi esistiamo essa non è presente. Nel fare ciò, Lucrezio ribadisce anche il punto di vista del suo maestro Epicuro, il quale sosteneva che l'uomo saggio è colui che si prepara alla morte grazie alle sue risorse spirituali e in particolare a ricordi di eventi positivi.
Sebbene Lucrezio presenti diversi punti in comune con il suo maestro Epicuro, egli tende a porre risalto alla paura della morte che attanaglia l'essere umano. Ad esempio, l'immagine di Plutarco della terrificante infinità del mare del non essere ricorre diverse volte in Lucrezio. In realtà, sia Lucrezio sia Epicuro sembrano essere consapevoli della fragilità del genere umano e dei pericoli che sono parte integrante della contingenza della vita terrena. In modo perentorio, Lucrezio chiarisce nella sua opera fondamentale che non esiste nessuna differenza tra il morire e il non essere mai nati quando “la vita mortale è annullata dalla morte immortale”.
A partire da questa citazione di Lucrezio, intendo ora sottoporre alla vostra attenzione le originali tesi sostenute da uno dei letterati più illustri nella storia della letteratura araba, cioè il poeta filosofo Abu al Ala al Ma‘arry. Quest'ultimo ha scritto nella sua raccolta poetica delle Luzumiyyat : “In ogni regione, il tempo prepara le tombe agli esseri umani ma nessuno scava mai la tomba al tempo”. Come si può notare, l'espressione lucreziana “vita mortale” può essere accostata proprio all'immagine ma ‘arriana del tempo che prepara le tombe all'umanità mentre “morte immortale” si collega alla seconda parte della citazione ma‘arriana : “nessuno scava mai la tomba al tempo”. Nel secondo accostamento, a mio avviso entrambi i poeti filosofi intendono evidenziare il concetto dell'assoluta ineluttabilità della morte, nonostante nel poeta siriano si può riscontrare al tempo stesso il concetto dello scorrere inesorabile del tempo eterno sintetizzato anche nel termine arabo دهر . L'invincibilità del tempo viene ribadita anche nel componimento 1273 delle Luzumiyyat laddove lo scrittore siriano sentenzia : “ i corpi degli uomini sono in una lotta continua contro il tempo, ma poi periscono i corpi, vengono sconfitte le vite e rimane il tempo”.
Ora intendo chiarire più specificatamente il punto di vista ma‘arriano circa la mortalità. Nel fare ciò mi avvalgo di alcune importanti analisi condotte dall'arabista austriaco Lorenz Mathias Nigst, il quale ha opportunamente osservato come, per al Ma ‘arry, un pensiero può essere considerato razionale se e solo se assume la mortalità come punto di partenza. Con le parole di al Ma‘arry potremmo affermare che : “la vita umana è come una notte e l'uomo saggio è colui che spera che arrivi presto l'alba”. Risulta evidente come queste due espressioni siano caratterizzate da una costruzione ossimorica dal momento che, da una parte, la vita umana è paragonata alla notte e non al giorno, e dall'altra l'alba è associata alla morte e non all'inizio della vita. Un aspetto fondamentale che emerge da questo ossimoro così come in altri passaggi delle Luzumiyyat è l'insignificanza della vita umana. Su queste basi, si può affermare che essere razionali equivale esattamente all'essere consapevoli dell'irrazionalità del mondo che viene concepito da al Ma‘arry come un insieme di contraddizioni.
Il pensiero del filosofo Martin Heidegger può essere accostato in qualche misura a quello di al Ma ‘arry dal momento che la riflessione profonda sulla morte assume nel filosofo tedesco la dimensione stessa dell'esistenza autentica. In altre parole, nella sua opera “Essere e Tempo”, Heidegger sottolinea come pensare alla morte come la più propria delle possibilità equivale a vivere autenticamente la vita. Ciò si contrappone all'esistenza inautentica che consiste nel prendersi cura delle cose materiali e nel nascondersi sotto l'ombrello del “si dice, si fa”, ricadendo nell'equivoco. L'espressione “essere per la morte” sintetizza l'approccio autentico che l'essere umano dovrebbe avere rispetto alla sua esistenza. Più in particolare, questo approccio viene indicato da Heidegger con il termine “Vorlaufen” (anticipazione) che non corrisponde al pensiero del suicidio o all'attesa della morte ma al concepire quest'ultima come la più estrema e assoluta possibilità, poichè essa elimina tutte le altre possibilità. Dal momento che ciò di cui siamo più certi è che un giorno moriremo, potremmo mutuare l'espressione cartesiana “Penso, dunque esisto” in “Morirò, dunque esisto”. Ed è questo il senso in cui la decisione anticipatrice va interpretata, nel senso cioè di un porsi davanti alla morte stessa.
Dopo aver letto integralmente in arabo l'opera ma‘arriana “Luzumiyyat” e anche sulla base delle analisi condotte dall'arabista austriaco Nigst, sono giunto alla conclusione che la concezione filosofica del poeta filosofo siriano basata sul “giudicare come razionale solo un pensiero fondato sulla mortalità umana” possa essere ricondotta all'esistenza autentica heideggeriana sintetizzata nella condizione dell' “essere per la morte”. A mio avviso, l'esistenza inautentica che corrisponde allo sfuggire al pensiero della morte può collegarsi al “divertissement pascaliano” che consiste propriamente nell'eludere gli interrogativi massimi sull'esistenza e sulla morte, rifugiandosi nello svago e nell'attaccamento ai beni materiali.