Balthasar Klossowski de Rola, pseudonimo di Balthus, fu una personalità importante per la città di Roma e uno dei pittori più discussi e controversi del Novecento. Nato a Parigi nel 1908, in tutta la sua lunga vita, non smise mai di dipingere. Nonostante le influenze esterne, i viaggi e la formazione accademica, riuscì a tessere un linguaggio artistico unico e personale, non sempre ben accolto dalla critica. Nel 1961 arriva a Roma per dirigere l’Accademia di Francia, incarico che riveste fino al 1977. Già pittore di successo, dimostra subito di essere un direttore che non smette mai di pensare come un artista. Altri lo precedettero in questa duplice veste, ricordiamo Ingres e Vernet, ma nessuno prima di lui si impegnò con così tanta passione nel restituire a Villa Medici il suo originale e splendido aspetto cinquecentesco. Il pittore decise di rinnovare la Villa, curandone direttamente i dettagli, compresi i giardini, con dei lunghi lavori di restauro che recuperarono anche gli affreschi rinascimentali, nascosti sotto l’intonaco.
Nel frattempo, fuori le mura dell’Accademia, la Dolce Vita romana esplodeva, ma lui, l’ultimo principe della Villa – il conte Balthus -, preferiva vivere la vita sociale come un felino, schivo e selettivo. Amico di Guttuso, frequentava la Galleria del Gabbiano e si divertiva insieme a Sandro Manzo. Molto più frequenti invece, erano le feste che organizzava all’interno di Villa Medici, dove arrivavano Fellini, Antonioni, Tirelli, Moravia, Liliana Cavani, Memmo Mancini.
Nel 2015 Roma celebra il pittore, amato e ricordato da molti, a quasi quindici anni dalla sua scomparsa, presentando al pubblico una retrospettiva di quasi 200 opere, che si apre con un’icona della sua pittura, “La Strada”. Il dipinto risale al periodo parigino, è un olio su tela del 1933, proveniente dal MoMA-Museum of Modern Art di New York. La Strada è un quadro che richiede un lungo tempo di contemplazione, un tempo dilatato in uno spazio inafferrabile, che sarà reale o sognato? Visto o immaginato? È proprio in questa ambivalenza che giace la lettura di tutte le sue opere. I personaggi che attraversano la tela sembrano quasi degli automi, dei sonnambuli, che vagano su un palcoscenico teatrale, dove il silenzio è il tono che domina la scena. Il dipinto racchiude gran parte degli elementi che caratterizzeranno le opere successive di Balthus: la stilizzazione, le pose inusuali, la luce materica, la costruzione geometrica dello spazio, le strane proporzioni. Siamo ancora nella fase giovanile ma il primo incontro con l’Italia già lo aveva segnato: nel 1926 Balthus si reca ad Arezzo, dove assimila e studia l’opera di Piero della Francesca, un punto di riferimento costante nella costruzione dei suoi lavori. Ironico e crudele, triste e malinconico, il pittore non ci racconta un evento preciso ma un incontro di estranei ed estraniati, i cui sguardi non si incrociano tra loro e nemmeno con lo spettatore…il quale all’improvviso si ritrova a domandarsi: ma questi saranno vivi o morti?