In questo articolo propongo un parallelo tra due filosofi della storia che hanno saputo analizzare la storia umana identificandone alcuni momenti significativi e categorizzandone alcuni passaggi fondamentali. Chiaramente l'espressione corsi e ricorsi storici richiama Giambattista Vico ma alcuni secoli prima del filosofo italiano un filosofo tunisino, Ibn Khaldun, aveva individuato alcune fasi fondamentali della storia che si ripetono ciclicamente.
Iniziamo a delineare la visione della storia di Giambattista Vico (1668 – 1744), esposta nella sua opera La scienza Nuova, ponendola in contrapposizione a quella cartesiana. Vico prende nettamente le distanze da Cartesio a proposito della concezione di storia. Infatti per il filosofo italiano la storia rappresentava una scienza mentre il filosofo francese sosteneva che tutto ciò di cui si poteva dubitare non poteva costituire oggetto di scienza e la storia rientrava in tutto ciò. Ma ancora più importante è il fatto che per Cartesio la vera scienza era quella fisico – matematica mentre per Vico era proprio la storia la scienza prima. A sostegno di tale tesi, Vico adduceva l'argomento in base al quale il mondo fisico in quanto creato da Dio poteva essere conosciuto solo da quest'ultimo mentre la storia, essendo fatta dagli uomini, poteva essere accessibile come materiale conoscitivo. Gli strumenti di cui Vico si serve per la sua analisi storiografica sono la filologia e la filosofia : la prima gli è utile per raccogliere elementi relativi allo sviluppo della civiltà umana, non solo di tipo linguistico ma anche giuridico, economico e socioculturale mentre alla filosofia spetta il compito di analizzare tutto il materiale raccolto e ricondurre le sue cause all'azione della Provvidenza divina che rappresenta il presupposto fondamentale della concezione vichiana.
Secondo Vico infatti tutta la storia umana è guidata dalla Provvidenza che interviene per fare in modo che determinati eventi si evolvano in un modo anziché un altro. In particolare essa tende a indirizzare l'azione umana migliorandola e Vico adduce diverse prove di questo tipo di intervento provvidenziale. Gli istinti libidinosi primordiali sono stati guidati verso l'istituzione del matrimonio, la logica della guerra di tutti contro tutti alla formulazione delle leggi e la paura della morte verso la pratica della sepoltura dei morti. La storia inizia per Vico con il diluvio universale, in un'epoca in cui gli uomini erano dei bestioni primitivi dalla natura ferina, dalla quale ne sarebbero venuti fuori grazie a tre fattori fondamentali : la religione, il matrimonio e il culto della sepoltura dei morti.
Attraverso la formulazione della cosiddetta teoria dei corsi e ricorsi storici, Vico aveva notato come determinati processi storici si erano ripetuti ciclicamente nella storia. In particolare, egli distingueva tre epoche : una degli dei, una degli uomini e un'altra degli eroi : durante la prima, gli uomini erano soliti prendere le decisioni dopo aver consultato gli oracoli, vivendo in una sorta di regime teocratico; durante la seconda, l'aristocrazia prende il posto della teocrazia e propugna il diritto di governare gli Stati in quanto ritenuti superiori al popolo; durante la terza epoca, la democrazia sovverte totalmente la visione aristocratica e in virtù di ciò tutti gli uomini sono considerati uguali e liberi. A queste tre epoche corrispondono tre gradi della mente umana, cioè senso, fantasia e ragione ma anche tre forme di linguaggio differenti e in particolare i miti religiosi, la poesia epica e la prosa. Attraverso queste tre epoche, l'umanità passa dall'anarchia all'ordine e dalla fantasia alla razionalità. Applicando il suo modello alla storia dell'ascesi e del declino dell'impero romano, Vico sottolinea come un esempio di ricorso storico si sia presentato con il crollo di Roma con il ritorno dell'epoca barbarica nel Medioevo. In particolare, all'età primitiva era succeduta quella eroica (dominata dai re latini), poi in seguito vi è stata quella umana con la distruzione di Cartagine e il dominio di Roma, a cui è seguito il periodo delle invasioni barbariche. Nel ricorso storico si è presentato un ciclo analogo : l'età dei barbari del primo Medioevo fu seguito dalla fase eroica dei Comuni e dall'età umana dell'Illuminismo in cui viveva proprio Vico.
Anche il filosofo della storia tunisino Ibn Khaldun (1332 – 1406) condivide con Vico l'interesse per la ricerca storica anche se ne distacca per altri aspetti. Nella sua opera Muqaddimah (Prolegomeni), egli sosteneva che la storia non doveva limitarsi a registrarne gli avvenimenti ma doveva esaminarne gli ambienti, le abitudini sociali e le forme politiche. In quanto studio della natura della società, la storia rappresentava per Ibn Khaldun la scienza della civiltà (‘ilm al – ‘umran). Egli aveva un approccio di tipo scientifico nei confronti della storia, basando il suo metodo sulla critica, l'osservazione, la comparazione e la verifica.
Alla base della sua ricerca storiografica vi è il concetto di ‘asabiyyah ( عصبية ), lo spirito tribale di coesione sociale. Tale spirito sorge in modo spontaneo all'interno di tribù e gruppi familiari ma viene anche intensificato da una ideologia religiosa che conduce al potere le classi governanti. Una volta che quest'ultime si stabilizzano al centro del loro impero, esse vanno incontro ad un inarrestabile ed inevitabile processo di disfacimento che le porta ad essere meno coordinate, attente e disciplinate e sempre più intenzionate a mantenere stabile il loro potere. Tale processo di disfacimento conduce alla disgregazione dello spirito solidale della ‘asabiyyah, determinando il declino di una dinastia o impero. In particolare, la coesione sociale inizia a dissiparsi man mano che i nuovi governanti diventano sempre più ricchi e sempre più propensi ad accumulare ricchezze. Ne consegue che per condurre le guerre i governanti stessi si servano di mercenari. A questo punto si creano le condizioni per l'ascesa al potere di una nuova dinastia che inizia ad agire dalle periferie dell'impero per poi aumentare la propria influenza, alimentata da un nuovo spirito solidale di coesione e così inizia un nuovo ciclo. L'intero processo ciclico che porta dall'ascesi di una dinastia ad un'altra che la soppianta è di cinque generazioni.
Il concetto di ‘asabiyyah richiama quello vichiano di comune natura delle nazioni o la virtù di Machiavelli, una sorta di unità psicologica tra i membri di una data comunità. Sia Ibn Khaldun sia Machiavelli enfatizzano il concetto di solidarietà politica che dal loro punto di vista risulta la principale arma di potere per il successo in politica e in guerra. La validità del principio della asabiyyah è testato da Ibn Khaldun sulla storia araba, preislamica e musulmana e in secondo luogo la storia dei berberi e altri popoli islamizzati. Più specificatamente, l'impero arabo è il prodotto della ‘asabiyyah della dinastia dei quraysh, soprattutto della stirpe dei Banu ‘Abd Manaf, ma una volta preso il potere, la loro ‘asabiyyah si trasforma in tirannia e potere assoluto. In realtà, il filosofo tunisino riscontra esempi in contesti diversi da quello arabo e musulmano, come ad esempio in Cina, laddove varie dinastie cicliche ricordano il modello della ‘asabiyyah di Ibn Khaldun.
L'accostamento al filosofo italiano Giambattista Vico è doveroso dal momento che in quest'ultimo così come in Ibn Khaldun è centrale la concezione della storia come scienza fondamentale dell'uomo che comprende usi, costumi, comportamenti di un popolo e tutto ciò che inerisce al concetto di civiltà. Inoltre in entrambi i filosofi si rivela cruciale il momento dell'analisi e della ricerca, attraverso elementi come la filologia o il metodo comparativo. Ciò che chiaramente divide questi due filosofi della storia è l'approccio nei confronti della provvidenza divina. Vico giustifica l'intervento divino nella storia umana in quanto intende sottolineare il fatto che essa non è guidata dal caso né dal fato. Ibn Khaldun invece respinge categoricamente la tesi finalistica applicata alla storia. Dal suo punto di vista infatti, subordinare la storia all'azione divina avrebbe posto la stessa storia sullo stesso piano delle arti e della letteratura, perdendo il suo valore puramente scientifico. Il suo scopo era quello di scoprire il significato profondo della storia attraverso uno spirito speculativo che andasse ad indagare le cause e le origini degli eventi.
Ancora prima di Ibn Khaldun e Vico, lo storico cinese Sima Qian (145 a. C. – 86 a. C.) aveva affermato che ogni nazione non poteva sottrarsi al suo destino dei cicli di sviluppo e declino. La sua opera, lo Shi Ji rappresenta il modello per la storiografia cinese percorrendo due millenni di storia cinese, dall'epoca dell'imperatore giallo Huang Di fino alla caduta della dinastia Qin e i primi anni della dinastia Han. Dal mio punto di vista, questo studioso della storia cinese condivide con Vico e Ibn Khaldun l'approccio scientifico nei confronti della materia storica, funzionale all'individuazione di principi generali dello sviluppo della storia umana.
Interessante e ben argomentato. Grazie.