L’Istituto Giapponese di Cultura a Roma, ospita fino al 23 novembre una mostra molto interessante intitolata “I love Sushi”.
Il Sushi è il tipico cibo giapponese divenuto famoso in tutto il mondo. Nel 2013 l’Unesco ha inserito il washoku, ossia la cucina giapponese, nella lista dei patrimoni mondiali intangibili. Il sushi è uno degli archetipi più apprezzati. Cibo molto salutare ma anche raffinato ed esteticamente accattivante e delizioso per il palato e la vista.
La mostra ci fa scoprire attraverso varie sezioni, l’origine del sushi, il suo sviluppo nei secoli e le trasformazioni, fino alle molteplici varietà oggi disponibili.
Le origini del sushi
Si è sempre pensato al sushi come ad un piatto tipico giapponese, in realtà le sue radici si trovano in altri luoghi. Alcuni storici fanno risalire la sua origine all’Asia sudorientale, in particolare a Thailandia meridionale, Laos e Yunnan,(una regione cinese del Sud). In Giappone, il sushi viene menzionato per la prima volta in un documento dell’VIII secolo. Inizialmente veniva preparato facendo marinare per mesi il pesce salato insieme al riso cotto in tinozze di legno. Il prodotto fermentato era chiamato Narezushi.
Si consumava però solo il pesce, il riso veniva infatti gettato via e serviva unicamente per il processo di fermentazione. Nel XV secolo si cominciò a mangiare pesce e riso. Al posto della marinatura, il pesce iniziò ad essere condito con l’aceto. Questa trasformazione permise di usare molti tipi di pesci differenti, quindi di avere diversi tipi di sushi, ed una preparazione più veloce.
Il Nigirizushi
Il più famoso tipo di sushi è il Nigirizushi. Si affermò ed Edo, l’antico nome della capitale Tokyo, tra il 1820 e il 1830. I primi esemplari di sushi in vendita erano molto più grandi di quelli attuali, si trattava comunque di un cibo economico. Il pesce non era crudo ma bollito e marinato nell’aceto. L’utilizzo del pesce crudo e la dimensione di 15-20 grammi a cui siamo abituati oggi, sono diventati di uso comune solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Vari tipi di Sushi
La sezione introduttiva della mostra, ci offre anche la possibilità di venire a conoscenza di diverse tipologie e forme di sushi.
Nigirizushi
È il prodotto che conosciamo e che siamo abituati a vedere nei nostri ristoranti in Occidente. Il riso cotto viene modellato con le mani e i pezzetti di pesce o molluschi vengono posti sopra i piccoli panetti di riso.
Oshinukizushi.
È una forma tipica di sushi a ventaglio, quadrati, fiori, ed è tipica della zona di Kanagawa. Pesci, gamberi, uova, piselli e zenzero rosso vengono messi insieme negli stampi e pressati. È una variante che nella tradizione giapponese rinsalda i legami familiari.
Gomokuzushi
È una tipologia che utilizza radici, carote e funghi bolliti mescolati al riso che non viene pressato. Il Gomokuzushi ha una lunga storia come cibo tradizionale delle feste.
Hakozushi
Si riempie una scatola di legno (hako), con il riso cotto e il pesce viene posto sopra di esso. L’origine risale al 1830. Un cuoco di nome Fukumoto preparò la variante in un quartiere di Osaka utilizzando ingredienti tagliati spessi. Frittata, gamberi, orata e rombo sono i componenti principali.
Makizushi
Il riso viene arrotolato dentro un foglio di alga essiccata con il ripieno all’interno. (Maku significa arrotolare).
Saba Bozushi
Il pesce, a cui viene eliminata la testa e la coda, è posto su un cilindro di riso cotto. Lo sgombro e l’anguilla sono i pesci preferiti.
Inarizushi
Il nome deriva dal Santuario di Inari. Una pellicola di tofu è usata per avvolgere del riso stufato arricchito da funghi e strisce di zucca.
Narezushi
È Il termine che indica tutti i tipi di sushi fermentato. È tipico dell’antico Giappone, fermentato al punto da rendere il riso non edible.
Esempi di sushi d’oggi
Oggi sushi significa non solo pesce ma anche verdura, carne, pollame e uova. Le possibilità di combinazioni sono pressoché infinite come dimostra una selezione in mostra dei 150 migliori tipi di sushi.
Il Sushi nel periodo Edo
Il periodo storico denominato Edo, in Giappone si situa cronologicamente tra il 1603 e il 1867. All’inizio il pesce veniva ancora fermentato e molti signori feudali lo offrivano in dono agli Shōgun della capitale Edo. Il lungo viaggio verso la città faceva parte del periodo di fermentazione. Con l’utilizzo dell’aceto, il prodotto tipico diventò il nigirizushi e anche gli strati sociali più umili di Edo si impadronirono di questo particolare tipo di cibo che diventò di uso quotidiano. Innumerevoli i banchi dove consumarlo come anche i ristoranti più costosi.
Le famose stampe giapponesi Ukiyo-e di cui possiamo ammirare alcuni esemplari in mostra, ci raccontano la vita quotidiana dei giapponesi dell’epoca Edo, gli usi e i costumi. Compaiono anche scene in cui si vede il sushi consumato e venduto in luoghi dalle architetture raffinate o in esterni cittadini.
Nella stampa “Piaceri in attesa della luna nella ventiseiesima notte a Takanawa”di Utagawa Hiroshige del 1841-42, possiamo vedere un banco di sushi in una brulicante ed animata strada cittadina.
Nella stampa della serie “L’universo delle donne” di Utagawa Kuniyoshi del 1843, la protagonista è una cortigiana intenta ad assaporare il suo sushi.
Utagawa Toyokuni III nel 1855, nella stampa”Genji e il banchetto sotto ai fiori”, rappresenta un sontuoso banchetto in cui sono ben visibili le porzioni di sushi.
Il Sushi oggi
In Giappone, al giorno d’oggi, il sushi viene venduto nei supermercati e in locali di ogni tipo, ed è il piatto tipico della cucina giapponese.
Grazie anche alla diffusione della vendita nei Kaiten Sushi, ossia ristoranti dove un nastro trasportatore gira senza sosta e su cui sono posti piatti di diverso colore (a seconda del prezzo), con vari tipi di sushi. Il cliente sceglie a suo piacimento e paga alla fine secondo i colori e la quantità dei piattini impilati accanto a lui! Questo particolare tipo di ristoranti si affermò ad Osaka a partire dagli anni Cnquanta, dando origine a catene di ristoranti che oggi si possono trovare anche in Occidente.
Il mio primo sushi
Ricordo ancora la prima volta che assaporai del sushi. Adolescente appassionata della cultura orientale, iniziai a studiare la lingua giapponese proprio all’Istituto Giapponese di Cultura. Il professore giapponese, alla fine del primo anno, invitò i pochi componenti del corso, tra cui la sottoscritta, nel più tipico e bello dei tre ristoranti giapponesi allora a Roma: il ristorante Hamasei.
Arredato con le pareti scorrevoli denominate Shoji e le stuoie Tatami per terra dove accomodarsi, abbiamo avuto la possibilità di assaggiare quel cibo che allora non era affatto di largo consumo e richiamava mondi lontani. Il tutto servito da deliziose ragazze giapponesi abbigliate con i tipici Kimono.
Fu un’esperienza indimenticabile che ci portò per una sera nel vero Giappone. Un ricordo che come la madeleine di Proust si riaccende ogni volta che il pensiero ritorna a quell’esperienza: piccole epifanie che rendono la nostra vita più leggiadra e piacevole.
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