In questo articolo traccerò alcune linee generali sulla corrente filosofica del panteismo, sostenuta da vari filosofi nel passato. Il panteismo può essere inteso come quella concezione filosofica in base alla quale Dio si identifica con la natura, nulla esiste al di fuori di Dio o ancora Dio non è distinto dalla natura. Il termine panteismo è stato introdotto in epoca moderna nel 1705 dal filosofo irlandese John Toland (1670 – 1722), e fatto derivare dalle radici greche pan (tutto) e theos (Dio). Ciononostante il suo concetto si era sviluppato già nella filosofia antica. In particolare qui mi soffermerò sul pensiero di quattro importanti filosofi del passato.
Sorvolando su alcuni pensatori greci come Eraclito e gli stoici, intendo iniziare ad argomentare l'evoluzione della concezione panteistica, a partire da Plotino (204 – 270 d.C.) e Ibn Al ‘Arabi (1165 – 1240). Il filosofo Plotino ha sviluppato una concezione in qualche modo assimilabile al panteismo, dal momento che la sua filosofia si basava sulla concezione di Dio come un Uno assoluto, infinito, privo di forma, eterno, impensabile ed ineffabile. Le cose molteplici derivano progressivamente dall'Uno per sovrabbondanza o traboccamento. Per spiegare la derivazione del molteplice dall'Uno, Plotino suggerisce le nozioni di processione, emanazione, irradiazione : quanto più imperfette sono le cose, tanto più si allontanano dalla perfezione del principio iniziale. L'Uno rappresenta la prima ipostasi dal momento che ha una consistenza in sé, indipendente dal divenire fenomenico. Per emanazione dall'Uno deriva la seconda ipostasi che è l'Intelletto, il cosiddetto pensiero di pensiero divino che si distacca dall'Uno poiché implica la distinzione tra soggetto pensante e oggetto pensato. A sua volta dall'Intelletto deriva la terza ipostasi che è l'Anima, che da un lato guarda all'intelletto e dall'altro alle cose sensibili; inoltre essa presenta due facce, una superiore incorporea ed un'altra inferiore, rivolta al corporeo. Detto tutto questo, quello di Plotino non può essere considerato un panteismo autentico; infatti dal momento che l'Uno plotiniano non è solo immanente (nel senso che è in tutte le cose) ma anche trascendente (è al di fuori di esse) , esso è superiore al mondo che è sua emanazione : l'uno è principio di Tutto ma non il Tutto. Contrariamente alla concezione creazionistica, per Plotino il mondo deriva necessariamente per traboccamento di essere e non per un atto di amore da parte di Dio. Inoltre il mondo non viene emanato da Dio in un punto temporale preciso ma nella dimensione temporale dell'infinito passato.
Il filosofo arabo andaluso Ibn Al ‘Arabi può rientrare in qualche modo nella categoria dei filosofi panteisti. In particolare, nello sviluppare la concezione di tawhid (unità di Dio), egli afferma che non esiste nessun essere reale al di fuori di Dio, che Egli è presente in tutti gli esseri e si identifica con tutti gli esseri. Dal momento che tutte le creature nel cosmo e tutto ciò che loro fanno sono azioni (af ‘al) divine, Dio è presente dappertutto e il suo nome viene impiegato per designare la totalità di tutte le cose. Molto interessante e originale è la metafora che egli adotta per rendere ancora più esplicita la sua concezione panteistica : l'universo è il cibo per Dio e Dio è il cibo per l'universo; la divinità inghiotte il cosmo così come il cosmo inghiotte la divinità. Ciononostante, tali considerazioni non portano alla conclusione che Dio e il mondo sono sullo stesso livello. Infatti secondo Ibn Al ‘Arabi, esiste un solco profondo tra la natura divina e quella delle cose terrene, tra ciò che esiste di per sé (Dio) e ciò che esiste a causa di altro (l'universo). Il filosofo andaluso, nel definire Dio come il Reale (al Haqq) e l'Essenza (al Dhat), intende sottolineare l'assoluta inconoscibilità di Dio da parte dell'essere umano. Così come per Baruch Spinoza (1632 – 1677) esistono modi e attributi della sostanza divina, per il filosofo arabo andaluso i nomi (asma') o attributi (sifat) divini assumono un significato fondamentale nella definizione del rapporto tra Dio e il cosmo. Tali nomi e attributi appartengono esclusivamente alla conoscenza divina e non sono qualificabili come entità esistenti.
Il filosofo Giordano Bruno (1548 – 1600) ha elaborato una concezione panteistica, in chiave cosmologica, proponendo una visione opposta a quella tolemaica ed aristotelica e nel quadro della rivoluzione copernicana. Alla concezione geocentrica aristotelica per la quale il cosmo era finito e diviso, il filosofo nolano contrapponeva la sua posizione, basata su un cosmo unitario e infinito, fatto di infiniti mondi e sistemi solari. In quanto sostenitore di un Dio come causa immanente di tutte le cose e principio primo, Bruno sposa la tesi panteistica, considerata eretica dalla Chiesa. Nella sua opera De la causa, egli sulle orme di Plotino assimila il concetto di causa e di principio a quello di Uno. La ridefinizione della filosofia aristotelica avviene in ambito metafisico, laddove Bruno semplifica la dottrina delle quattro cause aristoteliche (formale, materiale, efficiente e finale), riconducendo la causa finale e quella formale a quella efficiente; inoltre i concetti di forma e materia vengono reinterpretati come essere e radice. In particolare la forma non è altro che l'anima universale, dotata di intelletto, che demiurgicamente plasma i corpi, agendo come un fabbro. Seguendo e appoggiando parzialmente gli studi di Copernico, Bruno se ne distacca negando il fatto che il sole sia il centro dell'universo. Infatti alla concezione eliocentrica copernicana, egli contrapponeva la sua onnicentrica, basata su un cosmo con centri infiniti. L'unità dell'infinito comporta anche delle implicazioni concettuali : ad esempio l'infinitamente grande e piccolo coincidono, così come tutti gli opposti. Alcuni concetti base presenti in Bruno, come l'infinità e unità dell'universo così come Dio in quanto causa immanente della realtà, possono essere agevolmente riscontrati in Baruch Spinoza.
Quest'ultimo, attraverso la sua celebre formula deus sive natura (Dio cioè natura), intendeva sottolineare il fatto che esiste una e solo una sostanza che viene indicata come Dio o natura e che è infinita ed eterna. In questo contesto, tutte le cose finite sono interpretate come parti della grande sostanza divina e anche come modi di questa sostanza. In particolare, Spinoza introduce le nozioni di attributi e modi della sostanza, identificando i primi con le qualità fondamentali della sostanza mentre i secondi con le manifestazioni degli attributi (i corpi e le idee). I modi finiti derivano da altri modi mentre quelli infiniti derivano dagli attributi infiniti. Ponendo l'opposizione tra natura naturans e natura naturata, Spinoza spiegava la forma attiva dell'universo in quanto causa (cioè la sostanza divina) e quella passiva in quanto effetto (le cose finite). Tale opposizione si rispecchia concettualmente in quella tra parte pensante e parte estesa. Infatti come parte pensante, Dio non è altro che l'energia, il principio attivo da cui scaturiscono tutte le cose. In quanto declinabile in queste due coppie di forme, Dio è causa immanente della realtà stessa, poiché si trova in tutte le cose. Altro punto fondamentale nella concezione panteistica spinoziana è la necessità dell'universo: tutto deriva necessariamente da Dio che rappresenta la causa incausata di tutto. Tale necessità inoltre è di tipo logico – matematico, dal momento che i modi della sostanza divina derivano dai suoi attributi così come le proposizioni ultime derivano dai principi primi. Tra l'altro la necessità geometrica di Spinoza, che si contrappone a ogni concezione finalistica, emerge chiaramente dal titolo della sua opera fondamentale : Ethica ordine geometrico demonstrata (Etica dimostrata con metodo geometrico). Spinoza respinge la tesi creazionistica in quanto Dio non possiede intelletto né volontà, così come antifinalisticamente non è guidato da precisi scopi o intenzioni. Allo stesso modo respinta è la tesi emanazionistica, per la quale il mondo sarebbe un'emanazione di Dio.
Conosco bene il pensiero di Spinoza e non tro niente che non sia attinente con i suoi insegnamenti.