Da quando il professore di italiano al liceo ci ha parlato del racconto breve “La biblioteca di Babele” dello scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899 – 1986), questo autore ha attratto la mia attenzione sin da subito. Infatti dalle sue opere letterarie è possibile trarre interessantissimi spunti di riflessione. Non è facile leggere Borges ed è altrettanto difficile enucleare un sistema filosofico nelle sue opere. Ciononostante, io cercherò con questo articolo di individuare solo alcuni concetti filosofici ricorrenti nella scrittura borgesiana e lo farò analizzando in particolare il racconto breve “La Biblioteca di Babele”. Esso è stato scritto nel 1941, incluso nella raccolta “Il giardino dei sentieri che si biforcano”.
Alternerò la descrizione della biblioteca e il racconto del narratore all’analisi di alcuni punti fondamentali, caratteristici del pensiero borgesiano.
Ecco alcune parti della descrizione iniziale nella traduzione italiana:
“L’universo (che altri chiamano la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, orlati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. Di qui passa la scala spirale, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio vi è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. La luce viene fornita da frutti sferici che prendono il nome di “lampade”. La luce emanata da quest’ultime è incessante ma insufficiente. Ogni muro di libri presenta cinque scaffali, in ciascuno dei quali sono presenti 32 libri. Ogni libro ha 410 pagine, con 40 righi per pagina e 40 lettere per rigo. La copertina di ogni libro ha un titolo che non ha niente a che fare con i contenuti del libro”.
In questo passaggio introduttivo, una delle immagini che catturano maggiormente l’attenzione è quella delle lampade. La loro forma sferica richiama il pianeta Terra e la forma della stessa Biblioteca. La luce che esse emettono è una evidente metafora della ragione umana che in modo incessante ci spinge a cercare risposte a domande alle quali è impossibile rispondere, data l’insufficienza stessa della ragione. Lo specchio è l’immagine che rappresenta l’incessante moltiplicazione del mondo sensibile.
Nel racconto, un anziano bibliotecario descrive questo luogo dove ha trascorso l’intera vita. Dapprima, il narratore rivela due verità fondamentali circa la Biblioteca: essa esiste da sempre (e quindi non può essere altro che l’opera di un dio) ed esistono 25 caratteri differenti: lo spazio, il punto, la virgola e le ventidue lettere. Ad un certo punto del racconto, si afferma che in passato qualcuno è riuscito a scoprire il segreto della Biblioteca. Dal momento che due libri non sono mai identici, la Biblioteca è totale, cioè comprende ogni possibile combinazione delle 25 lettere. Di conseguenza, essa contiene tutto ciò che è possibile esprimere nella scrittura, in ogni lingua possibile. Borges qui contesta il principio dell’identità degli indiscernibili del filosofo tedesco Gottfried Leibniz. In base a tale principio, due identità sono identiche se e solo se ogni predicato valido per una è valido anche per l’altra. Analogamente respinta è la tesi leibniziana dell’esistenza di una lingua universale, una sorta di linguaggio matematico universale, dal momento che tutta l’esperienza è dettata e forgiata dal linguaggio che è la struttura della realtà stessa. Infatti il significato che attribuiamo alle parole in realtà è astratto in quanto definito dal contesto socio – culturale in cui le stesse parole sono collocate. Questo è un punto chiave anche presente in un altro scritto di Borges, la “Ricerca di Averroè”.
All’inizio, la reazione alla scoperta del segreto della Biblioteca fu un atteggiamento di ottimismo e di grande felicità. Tutti si misero alla ricerca di libri che raccontassero delle loro vite e che rivelassero il loro futuro. Ma dopo aver fallito in questa impresa, alcuni finirono per divenire matti o a uccidersi a vicenda. Il periodo di ottimismo fu seguito da uno di disperazione, segnato dalla sfiducia e dallo scoraggiamento nel trovare qualcosa di significativo nella Biblioteca. Il narratore sostiene che da qualche parte in essa esisteva un libro che potesse spiegare tutti gli altri libri. Egli è convinto che un libro di questo genere esista realmente esprimendo la speranza che qualcuno abbia la possibilità di leggerlo. Nonostante l’apparente disordine della Biblioteca, il narratore respinge l’idea che tutti i libri siano privi di significato. Infatti non vi è nessuna combinazione di lettere in cui non sia presente un significato nascosto, scritto in una determinata lingua o un preciso codice. Il fatto che sia impossibile conoscere tutti i libri o trovare il libro che contenga il senso di tutti gli altri porta alla conclusione che la conoscenza della realtà è un’illusione. Ed è questo uno dei punti filosofici fondamentali di questo racconto breve.
Nel finale, il narratore spiega il paradosso per cui la Biblioteca è infinita ma contiene al tempo stesso un numero finito di libri. La soluzione è che la Biblioteca deve essere periodica; in altre parole essa si ripete continuamente. La ripetizione del disordine della Biblioteca crea un ordine, appunto l’Ordine dell’universo. Dal momento che tutto ciò che è possibile è contenuto nella Biblioteca, è impossibile non ricadere nelle tautologie. E qui incontriamo uno dei temi ricorrenti in Borges : “non vi è nulla di nuovo, tutto si ripete”. Poichè la relazione tra una parola e il suo significato è convenzionale, “biblioteca” può significare “pane”, “statua” o qualcos’altro.
In conclusione, Borges lega il tema della convenzionalità del linguaggio e della continua ripetizione delle forme e dei significati alla relazione tra possibilità e destino e all’ordine che scaturisce dal caos. Infatti nel racconto, il narratore specula sul futuro della Biblioteca e dell’umanità, giungendo alla conclusione che nonostante gli esseri umani siano destinati a perire, la Biblioteca durerà in eterno “illuminata, solitaria, inutile, incorruttibile ed eterna”. Nel momento in cui Borges riflette sul significato dell’infinito, egli respinge l’idea spinoziana di un infinito ininterrotto o il flusso perpetuo di Eraclito, così come l’idea dell’universo finito. Egli giustifica la negazione di queste tesi attraverso l’argomento della concezione ciclica del tempo, mediante le parole del narratore: “se un viaggiatore dovesse viaggiare nella stessa direzione, scoprirebbe dopo diversi secoli che gli stessi volumi sono ripetuti con lo stesso disordine che ripetuto diviene ordine”. L’idea della circolarità del tempo è presente anche nel filosofo tedesco Nietzsche nella sua teoria dell’eterno ritorno all’uguale. La ripetizione ciclica del tempo, simboleggiata dalla ruota, era anche presente in realtà nella filosofia stoica e nelle religioni orientali. Questa concezione si contrappone a quella lineare del tempo, simboleggiata da una freccia che è proiettata in avanti verso il futuro e caratteristica della religione ebraico-cristiana e della società occidentale moderna.
In un’intervista Borges offre una sua interpretazione del simbolo del labirinto, che dal suo punto di vista è una sorta di edificio i cui tortuosi percorsi sembrano esseri fatti appositamente per confondere gli uomini. Borges poi prosegue introducendo il tema dello stupore e della perplessità che occupano un ruolo centrale nella vita umana, citando lo scrittore e aforista inglese Gilbert Keith Chesterton. A un certo punto egli spiega il principio alla base del racconto “La Biblioteca di Babele” : esso si fonda su un’antica idea in base alla quale se si combinassero tutte le lettere dell’alfabeto in modo diverso e per un tempo infinito, tra queste opere ci sarebbero i poemi di Ennio o l’Eneide di Virgilio. In seguito, egli cita il filosofo Bertrand Russell il quale affermò che se un esercito di scimmie per interi secoli si mettessero a scrivere a macchina libri per un periodo di tempo infinito, utilizzando tutte le combinazioni di lettere, tra le migliaia di opere senza senso ci sarebbero tutti i libri presenti nel Museo britannico.