Piccole storie cinesi
“La fortuna della famiglia Luo”
Una breve introduzione storica legata al racconto “La fortuna della famiglia Luo”.
Nel Chunqiu (“Primavere ed Autunni”), opera attribuita dalla tradizione a Confucio, si narra che nel passaggio dalla dinastia dei Zhou Orientali al periodo degli “Stati Combattenti” una nuova forma di esercitazione militare cominciava a prendere forma negli accampamenti prossimi alla battaglia. Era il 500 a.Cristo ed il Tsu-Chu (palla di cuoio spinta con il piede) apparve per la prima volta sulla faccia della terra.
Antichi mercanti, viaggiatori senza tempo, ne spiegarono le regole nell’antica Grecia e prese forma l’episciro ma i legionari romani lo importarono nella Roma eterna e si cominciò a giocar l’arpasto. Per “aguzzar la mente e irrobustir lo corpo” i “verdi” e i “bianchi” s’affrontavano, ed era il 1500, in piazza Santa Croce a Firenze seguendo le regole di messer Scanio.
Vola il tempo, lo spazio si contrae ed è nel 1800 che nei colleges inglesi se le danno di santa ragione, e guidati da due precettori, dieci studenti da ambo le parti. Nel 1904 nasce la Fédération Internationale de Football Association (F.I.F.A.) per dare chiare regole e sano sviluppo ad uno sport in piena espansione: il calcio. Nel 1934 l’Italia si aggiudica la Coppa Rimet (Coppa del Mondo) e da allora e per tutto il novecento diviene l’epicentro mondiale di questo affascinante sport. Ai primi bagliori del nuovo millennio parte dalla Cina Luo Pei Xi e sulle tracce dei suoi antenati e benedetto dal cielo, ignaro della sua sorte, è pronto a combattere la sua battaglia.
Quando Luo Pei Xi, in procinto di partire da Meng Tou Gou, un piccolo villaggio vicino Pechino, vide la mamma in lacrime sul letto vicino alle valigie e il padre con aria affranta sulla poltrona, allora così, tanto per risollevare il morale della famiglia disse: “Non vi dovete preoccupare! Per la lingua non c’è problema e questo lo sapete, vuol dire già tanto. Poi vado in Italia per studiare e lavorare, diventerò ricco e voi con me. Però la prima cosa che voglio fare, …” e lo disse con un gran sorriso sulle labbra, “…è andarmi a vedere una bella partita di calcio, una di quelle importanti. Sai papà, in Italia il calcio mica è come da noi”.
“Dici che ci scappa anche qualche autografo?” chiese il padre immediatamente su di morale e con una mano già pronta al portafoglio. “Naturalmente! Poi vedrò di farmi fare qualche foto con uno di quei giocatori che si vedono anche qui sui giornali e così la mamma starà tranquilla”. “Certo, accenderò anch’io la televisione.
Mi gusterò la partita e chissà che non ci scappi la possibilità di vederti, sai di questi tempi in occidente…” aggiunse il padre strizzando un occhio e decisamente rasserenato dalla piega che aveva assunto, ora sì, il viaggio in Italia di suo figlio. Tutti sorrisero e furono molto più sollevati.
Arrivato in Italia il giovane Luo fece subito due cose: comprò un biglietto per la partita e un giornale sportivo. Il grande incontro di calcio ci sarebbe stato di lì a una settimana e non capì poi bene per quale motivo il presidente di una delle due squadre avesse svuotato, comprandosela per un centinaio di miliardi, lira più lira meno, l’intera panchina dell’altra formazione e praticamente, in caso d’infortunio, non ci sarebbe stata alcuna riserva.
Lesse per bene l’articolo perché di queste cose in Cina non se ne parlava mica e poi c’era stata di mezzo anche una faccenda di televisione. Sembrava che in quel gruppo di giocatori ci fosse un portiere che in passato era stato anche un buon attore, anzi, forse più attore che portiere e questo avrebbe assicurato un’audience pazzesca con relativo incremento dei diritti televisivi. “A fare in culo il portiere!” pensò il giovane Luo.
A tre soli giorni dal match, senza perdersi d’animo, sull’altra sponda risposero per le rime e, dando ascolto alle infinite telefonate notturne dell’allenatore, il presidente comprò l’intero pacchetto difensivo dell’altra formazione.
I tifosi, quel branco di deficienti analfabeti legati alla squadra del cuore cominciarono a dare segni d’impazienza e anche Luo Pei Xi sentiva un certo disgusto crescergli dentro. Che senso aveva vedere una partita con i giocatori a ranghi solo da poco invertiti?
Molti tifosi di una squadra e dell’altra, legati più a un giocatore che alla bandiera, cambiarono sponda prendendo a fare il tifo per gli avversari di solo qualche giorno prima. A un solo giorno dalla partita uno dei due presidenti, ancora insoddisfatto, cercò a tutti i costi il colpaccio, mise mano al portafoglio e con una mossa mozzafiato si assicurò le ali dell’altra squadra.
“Oh no, le ali no! Chi le brucerà le fasce come facevano quei due?” pensò Pei Xi ormai in possesso d’un corredo linguistico di tutto rispetto. Pensava già in un’altra lingua però aveva cominciato a perdere veramente la pazienza. Porca vacca aveva comprato un biglietto per lo stadio ma non riusciva più a capire quali fossero i giocatori di una squadra e quelli dell’altra.
Si sedette, accese la luce sul tavolo, aprì per bene il giornale e prese un foglio cercando di fare chiarezza: tutte le riserve di una formazione erano passate all’altra, portiere/attore compreso, e insieme a queste avevano fatto le valigie anche le due ali mentre dall’altra parte aveva traslocato solo il pacchetto difensivo: due terzini, lo stopper, il libero, escluso, guarda caso, proprio l’altro portiere, chissà poi perché.
Voleva saperne di più della faccenda e passò quindi alla pagina di politica interna, l’articolo riprendeva statistiche, si citavano importanti saggi scritti sull’argomento ma la sua attenzione si soffermò su una lunga intervista: “Si tratta di un evidente caso di razzismo” citava fonte governativa concludendo il poderoso articolo.
Riprese la pagina sportiva perché ora sembrava tutto più chiaro però, poco prima di addormentarsi, Luo Pei Xi ripensò a quanto fosse bello quando a Meng Tou Gou si andava a vedere l’incontro di calcio della squadra locale e si vedevano giocatori attaccati alla stessa maglia per anni. Il giovane Luo alcuni li aveva visti crescere con lui e poi con molti di questi era diventato anche amico. Certo di soldi ne giravano di meno ma il sudore era autentico e anche le lacrime, quelle per una sconfitta sembravano, anzi erano, molto ma molto più amare.
Il giovane Luo non riusciva a darsi pace, si girava e rigirava nel letto, accese la televisione, sguizzò tra i canali e sgranò gli occhi ascoltando attentamente l’edizione speciale: “Purtroppo si è arrivati ad un’insanabile frattura con l’attuale presidenza. Inizieremo così, tutti noi dirigenti, un nuovo rapporto con la società che domani si scontrerà con la nostra ex squadra. Ci scusiamo con i tifosi ma siamo certi sapranno capirci e forse, visti i fatti, seguiranno le nostre scelte,” è proprio così che disse il portavoce del gruppo di manager leggendo il comunicato ufficiale e già pronto, anche lui, a cambiare uffici.
Il giovane Luo diede un calcio alla televisione che traballò, incerta se cadere o riprendere la sua naturale funzione. Spegnendo la luce osservò il biglietto per lo stadio poggiato lì accanto sul comodino ed era quasi pronto a stracciarlo ma si ricordò delle parole del padre poco prima di partire: “Prendi questi soldi, compraci un bel biglietto. Per me sono una fortuna ma una partita di calcio in Italia vale la spesa, goditela anche per il tuo vecchio, io accenderò la televisione sperando di vederti, magari di sfuggita, così tra la folla, tutto è possibile da quelle parti”. Parole sante e assurde al tempo stesso.
L’indomani comprò di nuovo il giornale e lesse dei particolari dell’operazione: “Insieme al gruppo dirigente hanno cambiato casacca massaggiatori, segretarie, donne delle pulizie e raccattapalle, si attendono importanti novità sui lupetti ma si è felicemente conclusa l’operazione riguardante l’intera squadra primavera,” è così che si leggeva scorrendo l’articolo e poi, fatto del tutto naturale, lesse anche di quasi ventimila e più tifosi che ora inneggiavano all’opposta e tanto odiata fazione.
Luo Pei Xi era nauseato, non gliene fregava più nulla di quella partita però valeva bene la pena di seguirla per via dell’asso, il fuoriclasse che infiammava le folle, il giocatore da trecento e rotti miliardi di lire. Di quello lì lui, il giovane Luo, a Meng Tou Gou, nella sua stanza aveva tappezzato un’intera parete di manifesti e videocassette. Ne conservava assurdi cimeli, per lo più falsi, ma l’importante era crederci.
Bando alle chiacchiere, mandò giù un panino, prese l’autobus per andare allo stadio e lì, in mezzo a un gran casino, sentì quello che non avrebbe mai voluto sentire: “Il giocatore baciato da Dio è passato alla concorrenza e, nel pieno rispetto degli accordi contrattuali, mandato in vacanza premio in Brasile e anche gli allenatori, incazzati come non mai, per vendetta, si sono scambiati le rispettive panchine”.
Arrivato allo stadio Luo Pei Xi non ci capiva più nulla perché i tifosi di una squadra erano in gran parte divenuti sostenitori dell’altra e tutti erano gomito a gomito, senza nessuna distinzione.
“Un gran guazzabuglio,” pensò il giovane Luo immaginando quel che avrebbe capito il padre o meglio, quel che non avrebbe capito, accendendo la televisione nel salottino della sua casa a Meng Tou Gou.
Nelle tribune centrali, quelle dove stava anche il giovane Luo, vennero consegnate delle bandierine a colori misti delle due formazioni, “Si tratta di una iniziativa commerciale molto interessante,” pensò cercando eventuali altre variazioni sul tema ma poi ne prese una la guardò, se la rigirò tra le mani pensando di sviluppare quanto prima l’idea per una futura attività commerciale. Era quasi sul punto di sventolarla ma poi, non sapendo proprio dove metterla, se la piazzò sotto al sedere.
Era stanco Luo Pei Xi, maledettamente stanco, anche perché al fischio d’inizio alcuni giocatori, i più cucuzzoni, non informati dei paradossali cambi di maglia, iniziarono a correre dalla parte sbagliata e quelli stranieri, poverini, bloccati per la lingua, se ne rimanevano in disparte a studiare la situazione. Uno abbracciava la bandierina d’angolo, se la stringeva forte forte e sembrava gridasse “mammaaa!” ma la gente applaudiva e lo incitava scambiando quelle parole per un urlo tribale, una specie di canto d’iniziazione alla battaglia visto che l’imbecille s’aggrappava alla bandierina facendola oscillare da una parte e dall’altra.
La cosa fu anche divertente quando uno degli allenatori entrò in campo e cominciò a prendere a calci il centravanti, pensando che fosse ancora uno dei suoi, per una punizione spedita alle stelle, ma informato del passaggio di maglia al povero mister venne un attacco d’angina e fu trasportato fuori in barella.
“Morto stecchito!” appuntò un arbitro. “Possiamo senz’altro riprendere!” sentenziò il secondo. Non si poteva interrompere una partita per queste cavolate. E questa volta a quel paese anche l’allenatore.
Dalle curve ci furono invasioni di campo, e una decina di tifosi si accanirono con due degli undici arbitri designati e questa anche fu una nuova esperienza per il giovane Luo visto che in Cina lui si ricordava solo di un arbitro e due guardalinee. “Uno ogni due giocatori,” spiegò il vicino di tribuna spazientito da quell’orientale incompetenza. “Questo è il regolamento mio caro, qui da noi funziona così e non mi guardi con quella faccia, non si sa mai cosa pensate voi di lì.” concluse borioso.
Volarono botte sugli spalti, intervenne la polizia, ci furono morti a decine e quattro megaschermi trasmettevano in diretta nello stadio ogni particolare di quella suggestiva carneficina. Entravano nelle gambe, si intrufolavano tra la gente, scandivano ogni minimo sussulto. Fantastico.
Luo Pei Xi osservava stupito, molti freneticamente si rivolgevano a lui ma lui non parlava, poi si alzò lentamente, guardò lo stadio, salì le scale centrali e andò nel punto più alto, guardò ancora solo per un attimo quello spettacolo poi decise che era giunto il momento d’andarsene. Doveva andarsene. Voleva andarsene.
“Muoviti, la situazione si mette male,” disse più d’uno rivolgendosi a lui. “Dai pezzo di merda,” gridava un altro nel casino generale. “Non spingete, non spingete, se state calmi usciamo tutti,” tentò di dire Luo Pei Xi ricevendo per tutta risposta una sonora manganellata sulla testa da parte d’una specie di poliziotto intervenuto per calmare la situazione. Quel tizio non aveva una divisa ma si comportava con grande autorità. Doveva essere per forza un rappresentante della legge.
S’aprì una profonda ferita sulla testa, cominciò a sanguinare e il trambusto sugli spalti si trasformò in caos. “Attenti a non pistare il bambino”. “No, è svenuto, chiamate un medico, è mio figlio”. Dalla testa di Luo Pei Xi il sangue usciva a fiotti. “Non spingete, sta arrivando la polizia”.
Era un inferno e ancora: “Cos’hai qui dentro, un coltello, siete in arresto”. “E le biglie per…”. “Sei solo, stronzo. Dai piantaglielo in pancia, giù così”. “Fatto!”. “Ma che fate, è un poliz…” “Era un coglione e tu con lui”. “Aiuto! mio figlio è…, aiutatemi vi…”. “Merdoso”. “Signora mi faccia passare”. “Fateci uscire, maledetti”. “Ma è a terra, sono a terra e dalla bocca, il sangue…”. “Aiuto non respira..”. “Si tolga di mezzo”. “Non posso, allora passate sopra anche me”. “Vada a fare in culo”. “Dovrò pur proteggerlo. Il medico, un medico vi supplico, vi supplico. Ahh!”.
Persone in terra, schiacciate, sangue e sputi da tutte le parte e poi sedili scardinati e usati come bastoni. “No vi prego fatemi passare implorava il giovane Luo nel tentativo di raggiungere l’uscita, un’uscita. Ma quel mostro, quell’enorme serpente lo stava divorando e così, poco a poco, come intrappolato tra due ingranaggi perfettamente innestati, il flusso di persone che a stento cercava di conquistarsi un varco per uscire spingeva il povero Luo Pei Xi, di secondo in secondo, sempre più verso il campo da gioco.
Nel caos più totale e imbrattato di sangue per la manganellata presa, perdeva la giacca, “No, ci sono i miei documenti,” urlava ma era già lontana. Spingevano, lo strattonavano, gli strappavano la camicia, rimase a torso nudo ed era vicino al campo. Fu scaraventato nel fosso e i pantaloni rimasero attaccati alla bassa recinzione. Risalì a stento verso il campo. Era solo, in mutande, e un gruppo di tifosi vedendolo scappare pensarono si trattasse d’un giocatore. Gli tolsero anche quelle e prese a correre, nudo come un verme, per il rettangolo di gioco. Fu inseguito dall’allenatore, venne rivestito in tutta fretta con pantaloncini e maglia numero dieci.
“Dai per dio corri, queste vanno bene, hanno la para,” disse il mister riferendosi ai mocassini di Luo Pei Xi.
Aveva la maglia del regista ed era in area di rigore.
Sugli spalti il flusso umano si bloccò. Un intero stadio che fino a poco prima viaggiava di spalle verso le uscite si ritrovò di petto, proprio di fronte al giovane Luo.
I morti erano morti e basta ma i vivi vedevano una cosa nuova. Un giocatore nuovo.
“È il Dio del nuovo mondo,” risuonò forte nello stadio e da lì nella città e per il mondo intero.
Neanche il tempo di strillar forte quella frase che in piena area si sviluppò una colossale mischia. Un batti e ribatti senza tregua e lui, il grande Luo Pei Xi girava in tondo cercando di trovare l’ennesima uscita poi la botta, forte, pazzesca, ultrasonica, in-fi-ni-ta.
Il portiere nel tentativo d’allontanare la palla una volta per tutte lo colpì con il pallone in piena faccia. Era ancora insanguinato ma la sfera rimbalzò come su un muro.
Lui come un fantoccio stramazzò a terra svenuto e il pallone in rete.
“GOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOL!” urlò la folla.
“Ce l’ha fatta. Saremo ricchi.” disse semplicemente il padre a Meng Tou Gou riconoscendo il figlio.
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