Esiste un posto, in Africa, dove il tempo sembra essersi fermato. Nella parte centrale di questo meraviglioso continente, ci sono alcune zone dove la natura resiste alla furia distruttiva dell’uomo. In questi luoghi, sembra di trovarsi in un vero e proprio paradiso. Qui, fra Ruanda, Congo e Uganda, alle pendici dei vulcani Virunga, o nel Parco nazionale impenetrabile di Bwindi, le foreste sono così fitte che sembra di essere su un altro pianeta. La luce filtra a malapena in un labirinto di piante che lottano per un raggio di sole. Addentrarsi in queste foreste è un’esperienza che non si dimentica. Perchè qui, nascosti dall’uomo, vivono gli ultimissimi esemplari di una creatura indescrivibile a parole: il gorilla di montagna (Gorilla beringei, ssp. beringei), signore di queste foreste, re di queste cime. Ma ancora per quanto? Un essere ormai quasi mitologico, che in breve tempo rischia di diventare una chimera. Non basterebbero tutte le maledizioni del mondo per l’essere umano, che con la sua ferocia e la sua fame di dominio ha ridotto questi animali al lumicino. Molto è stato detto sui gorilla, su questi gorilla, ma ben poco ha reso giustizia a quello che sono. A ciò che rappresentano. Siamo sicuri che siano così feroci come si pensava fino a non molto tempo fa?
Il gorilla di montagna è una grande scimmia antropomorfa, dalle dimensioni più che rispettabili. I maschi adulti possono arrivare a pesare più di 195 kg e a un’altezza di oltre 190 cm quando si mettono in piedi. Le loro braccia, enormi e muscolose, se aperte possono “abbracciare” un’ampiezza di 260 cm. Le femmine sono considerevolmente più piccole, ma restano comunque dotate di una stazza notevole anch’esse. Un maschio adulto possiede una forza di gran lunga superiore a quella di un misero culturista umano. La testa è resa ancor più grande e massiccia da una cresta ossea posta nella parte superiore del cranio. Contrariamente ad altre specie di gorilla, la pelliccia del gorilla di montagna è spesso di un color nero corvino, notevolmente folta per resistere a temperature più basse. I maschi in età riproduttiva sono particolarmente possenti, e sul dorso la pelliccia assume una colorazione grigio cenere: ciò ha valso a questi mesemplari il nome di silverback, letteralmente “schiena argentata”. Dopo questa descrizione, molti staranno pensando al gorilla di montagna come a una specie di abominevole uomo delle nevi, potente e violento. Più o meno ciò a cui hanno pensato i primi esploratori addentratisi nelle foreste africane. Ma si sbagliavano. Si sbagliavano tutti. Ci sbagliamo ancora oggi, e ci sbaglieremo sempre su queste magnifiche e amabili creature. Perchè l’aspetto minaccioso del gorilla è solo apparenza. Come hanno rivelato studi recenti sul loro comportamento, i gorilla di montagna (così come gli altri gorilla, beninteso) sono esseri timidi e schivi, giganti gentili e pacifici. Che chiedono solo di condurre un’esistenza tranquilla nelle loro foreste. Possiamo dedurre già molto sul loro conto osservando la loro dieta: contrariamente agli scimpanzè, i gorilla non cacciano mai: solo occasionalmente vengono mangiati piccoli invertebrati, e le abitudini alimentari si appoggiano quasi esclusivamente sulle piante. Insomma, un vegetariano convinto che passa gran parte della sua giornata a masticare frutta, foglie, germogli, radici e steli. I denti canini enormemente sviluppati sono probabilmente solo un indizio di quella che potrebbe essere stata la loro storia evolutiva di questi animali. E anche per tutte le altre faccende gorillesche, la forza bruta è sempre l’ultima delle soluzioni: nonostante la mole, questi cari bestioni amano farsi i fatti loro. Anzi, forse la mole è proprio il mezzo grazie al quale i grandi maschi evitano di entrare in conflitto diretto e di arrivare allo scontro fisico.
I clan di gorilla sono composti da un silverback, dalle sue femmine, dai giovani e dai cuccioli. Il maschio dominante è una maestosa espressione di potenza della natura, ma anche se potrebbe usare tranquillamente la sua grande forza fisica per farsi rispettare, non ricorre mai alla violenza. Gli altri membri della famiglia sanno bene che il capo è l’esemplare più vigoroso e saggio, che sa cosa è meglio per loro. E lui sente sulle sue spalle tutto il peso di questa responsabilità: guida la famiglia nella foresta, decidendo quando e dove spostarsi. Gli altri gorilla mangiano, giocano e si riposano solo quando il silverback dà il via libera. Non si comporta così per prepotenza, ma perchè la foresta è piena di predatori e di pericoli, e la famiglia ha bisogno di poter contare su qualcuno che prenda di petto le decisioni più importanti e che sappia cosa fare. La sera, dopo aver vagato alla ricerca di cibo, il clan si ferma in un punto della foresta: i gorilla si preparano dei giacigli di fortuna per la notte con fronde e foglie, e tutti assieme ci si accoccola al buio, nella natura più selvaggia, ma sicuri di essere in comunione col mondo. Le femmine in età da marito si concedono volentieri al maschio dominante, che non deve mai usare la forza per costringerle a fare qualcosa. Il gorilla maschio è enorme quando dolce, tenero, affettuoso e premuroso. E le signore sanno per istinto che, in quanto esemplare dominante del clan, lui è il meglio che il gruppo possa offrire in termini di DNA. Naturale, quindi, che accettino di buon grado di avere dei figli da lui. Come per l’uomo, le femmine partoriscono un solo piccolo. La nascita è un grande evento per il clan, e il del “bambino” si occupano tutti, a turno. La madre è paziente, e anche il padre spesso si concede pazientemente ai dispetti e ai giochi del figlio. Che spettacolo vedere un gorillino giocare, come un bambino umano, coi genitori. C’è una tenerezza profonda, selvaggia, in questi esseri.
Mamma insegna al piccolo a vivere nella foresta, gli insegna a riconoscere i pericoli, a procurarsi il cibo, a rapportarsi con gli altri gorilla. Il figlio viene seguito, letteralmente mandato “a scuola”. E quando sbaglia non viene mai punito, ma sempre trattato con dolcezza, vezzeggiato, coccolato, abbracciato. E in questi momenti lui è sempre lì, il silverback, col suo sguardo carico di pazienza, saggezza, tolleranza. Anche se qualche membro del clan osasse sfidare la sua autorità, a lui basterebbe uno sguardo per rimetterlo al suo posto. L’unico modo in cui un silverback può innervosirsi è con l’ingresso nel clan di un nuovo membro, a cui deve far capire chi comanda con una dimostrazione di forza che spesso si risolve nella gestualità e negli atteggiamenti. Ma una volta accettato il nuovo membro della famiglia, il maschio garantisce anche a quest’ultimo protezione. Una volta entrati nelle sue grazie, se ne può star certi: darebbe la vita per la famiglia. Il capobranco è chiamato a decisioni difficili anche quando arriva un altro maschio adulto sconosciuto, magari in cerca di una nuova famiglia. Quando due silverback al massimo della prestanza fisica e nel fiore dell’età vengono in contatto, chi tiene famiglia può semplicemente scegliere di allontanarsi per evitare battibecchi, ma quando il confronto è inevitabile i due cominciano a fare un baccano infernale, a sbuffare, ringhiare e battersi il petto col chiaro intento di scoraggiare l’altro e indurlo ad allontanarsi. Spesso, come dicevo prima, bastano le minacce per scongiurare una rissa e dimostrare chi dei due è il più forte. Che la mole, quindi, sia solo una strategia evolutiva atta a scoraggiare un rivale? Il meno vigoroso dei due, in effetti, capisce spesso che non avrebbe possibilità di uscirne vincitore e preferisce evitare in partenza uno scontro che potrebbe costargli caro. Ed ecco perchè i gorilla non arrivano quasi mai alle mani. E quando accade, è molto difficile che si feriscano seriamente.
La vita di un gorilla può durare anche 50 anni, ma purtroppo sono sempre meno gli esemplari che arrivano a questa età. Considerato a rischio critico di estinzione, si tratta di uno dei mammiferi maggiormente minacciati sul pianeta. L’artefice di questa sciagura è l’uomo, che distrugge senza sosta la sua casa, le sue foreste, il suo habitat. I pochi gorilla di montagna rimasti hanno sempre meno territorio a disposizione in cui spostarsi e in cui vivere le loro esistenze in santa pace. I paesi che ospitano questi animali sono sempre scossi da continui tumulti, da guerre e guerriglie, che hanno anche pesanti effetti sull’ecosistema fragilissimo nelle foreste vergini. Il bracconaggio è un’altra causa di mortaità dei gorilla, che nonostante siano sempre meno vengono illegalmente cacciati per la carne venduta a carissimo prezzo (difficile da credere, ebbene è così), o per alcune parti del corpo ricercatissime nella irriducibile medicina tradizionale cinese. Perchè? Perchè facciamo tutto questo? Più me lo chiedo e meno riesco a darmi una risposta. Abbiamo la fortuna di condividere questo pianeta con creature meravigliose, e stiamo letteralmente buttando alle ortiche questa occasione. I gorilla di montagna sono fra quegli esseri che possono destare in noi sentimenti forti e puri, sono portatori di un’atavica saggezza che deriva dal loro modo di vivere. Guardano il mondo da un’altra prospettiva, sono sapienti come noi eravamo una volta. Adesso, abbiamo dimenticato tutto e li sentiamo più lontani che mai. Guardare negli occhi un gorilla significa capire il mondo e sentirsi in comunione con le sue creature. I gorilla hanno capito ciò che noi, nel XXI secolo e dall’alto della nostra tecnologia e del nostro “progresso”, forse non capiremo mai: la convivenza pacifica e l’armonia con la natura sono le chiavi per assaporare la vita e sentire l’abbraccio della Terra. Ascoltare il proprio cuore è la chiave di tutto. Forse chissà, queste creature ci staranno giudicando. Si staranno chiedendo come mai questi strani animali, tanto simili a loro ma ormai ciechi e sordi al richiamo della natura, continuano a distruggere, uccidere e bruciare tutto. Magari staranno provando a parlare ai nostri cuori, alle nostre anime, ma c’è ancora qualcuno capace di ascoltarli? Indifesi contro le nostre armi, devono soccombere alla nostra furia distruttiva. Eppure dovremmo considerarli dei veri e propri tesori viventi di inestimabile valore, un patrimonio della Terra e della vita. Non solo perchè condividono con noi un antenato comune, ma perchè possono darci tantissimo. Possono prenderci per mano e portarci in una dimensione parallela, in un universo ormai dimenticato. Ciò che dobbiamo fare noi è capire quanto frivoli e insensati siano i beni materiali a cui siamo così strettamente legati. Chi ha il coraggio di staccarsi per un attimo da ciò che noi scellerati umani siamo diventati? Ormai abbiamo il cuore fatto d’acciaio, il cervello pieno di ingranaggi.
Restano meno di 900 gorilla di montagna liberi in natura. Un numero troppo esiguo. Per noi esseri umani è ora di guardarci allo specchio e di renderci conto di tutto quel che abbiamo conbinato. E se presto questi angeli sparissero dal mondo? Se queste sagge creature, senzienti, in grado di provare gioia, dolore, contentezza, sofferenza, venissero infine cancellate dall’Africa? Cosa faremmo? E’ un’ipotesi più che concreta. A quel punto, per vedere gli ultimi gorilla di montagna esistenti dovremmo recarci in qualche triste zoo, dove troveremmo soltanto ombre di gorilla, creature vuote, nient’altro che gusci. Esseri che non sanno nemmeno cosa significa vivere liberi, che non conoscono il profumo delle loro foreste, che non hanno mai fatto un bagno nella pioggia, inseguito una farfalla o colto un frutto fresco da un albero. Ci siamo divertiti ad attribuire ai gorilla pessime qualità, tipicamente umane. Aggressività, ferocia, cattiveria. Adesso è ora di finirla di proiettare le nostre nefandezze su di loro. Dovremmo amarli, tutelarli, proteggerli con tutte le nostre forze. Questi giganti meravigliosi sono un dono di Dio, se Dio c’è. E invece, proseguendo su questa strada, a noi cosa resterà? Vergogna. Una grande, immensa vergogna.