Parigi 1865. Édouard Manet sconvolge il Salon degli artisti con un nudo di donna. Si tratta della celebre Olympia che rivoluzionerà la storia dell’arte mondiale. La musa ispiratrice è l’amante di Manet, il suo nome è Victorine Meurent. La donna è molto giovane e vorrebbe diventare una pittrice, ma non ha i mezzi e cerca di mantenersi posando come modella. Manet decide di dipingerla come una prostituta in attesa di un cliente. Sdraiata sul letto, una mano appoggiata sul pube, i piedi sporchi e uno sguardo terribilmente sfrontato diretto verso lo spettatore. Victorine è consapevole della fascinazione che scaturisce e ama suggestionare il suo Édouard che, dal canto suo, non vorrebbe mai stravolgere la sua immagine. Nasce così questo quadro sublime, bello e terrifico. Il pittore divinizza il reale, “fotografa” uno spaccato di vita vera e felice, nei suoi minimi particolari. Porta sulla tela il sesso, quello persino sporco se vogliamo, nutrendo l’urgenza di mostrare a tutti la bellezza, la sete di vita e di amore di quella diciassettenne. Una ragazzina che può starsene in posa esattamente come la Venere di Urbino di Tiziano o la Maja desnuda di Goya e Vélasquez e non sentirsi inferiore a nessuna delle precedenti. Il simbolo di fedeltà domestica rappresentato dalla donna angelicata di Tiziano diventa, in Manet, una prostituta qualsiasi. Come può una storia del genere non portarci a riflettere sul presente? A quanto, oggi, nell’evoluta Italia del 2021, possiamo ancora purtroppo essere distanti da questa concezione. Il corpo della donna affascina, ispira, sconvolge ed eccita, ma necessita di rispetto e amore. Quotidianamente si sente parlare di cultura dello stupro, violenza di genere, revenge porn. Donne su donne spesso messe alla gogna quando la loro intimità viene resa pubblica senza consenso. Un mondo dove si fatica ad ottenere diritti e a sbarazzarsi dei retaggi di stampo paternalistico che opprimono l’evoluzione. Un mondo dove, sin dall’infanzia, vivono sotto la pressante richiesta di corpi femminili perfetti. Una sorta di pressante richiesta, un inquietante gioco delle aspettative di genere, insomma, non siamo al Salon di Parigi è vero, ma somigliamo tanto a quegli artisti francesi bigotti che tanto criticarono Manet.
Giulia Sofia Fabiani