Roma fu resa grande dagli Etruschi, ma poi i Romani se lo dimenticarono. Un viaggio nel passato alla scoperta della grande Roma dei Tarquini, come felicemente venne chiamata nel 1936 dallo storico Giorgio Pasquali è una esperienza bellissima.
La grandezza dei re etruschi si manifestò tra il VII e il VI sec. a.C e grazie al loro intervento saranno costruiti la Cloaca Maxima, il grande tempio capitolino e l’intrigante area dei templi gemelli voluti da Servio Tullio, proprio di fronte al porto.
La Cloaca Massima, struttura ancora oggi funzionante, permise la bonifica dell’area dove sorgerà il Foro Romano e, quindi, lo sviluppo di Roma come città. Il nome in latino è altisonante, in realtà si tratta della “fogna più grande” della città. Voluta da Tarquinio Prisco, inizia più o meno a metà dell’odierna Via dei Fori Imperiali e sfocia nel Tevere all’altezza del “ponte inglese”. Aveva anche una sua divinità di riferimento “Venere Cloacina”, con tanto di statua sulla piazza del Foro.
Il Tempio di Giove
L’altra grande opera è il Tempio di Giove Ottimo Massimo, iniziata da Tarquinio Prisco e terminata nel 509 a.C. al momento della cacciata dei Re, saranno infatti i primi due consoli ad inaugurarlo e a dare una data ufficiale di inizio alla Repubblica. Era il punto finale della cerimonia del trionfo, quando il generale vittorioso si trovava per trovarsi faccia a faccia col dio. Dedicato in realtà non solo a Giove, ma alla Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva), prevedeva tre comode celle per ognuna delle divinità.
La fase etrusca lo vedeva ergersi su un imponente basamento, ancora oggi visibile all’interno dei Musei Capitolini. Il tempio etrusco era di legno e ricoperto da terracotte architettoniche, molte delle quali provengo dai recenti scavi nella zona e si possono ammirare nel nuovo percorso di visita del museo. Distrutto e riedificato molte volte, vedrà la fine nel 455 durante l’assedio di Genserico, che oltre a saccheggiarlo, lo privo del prezioso tetto, che era di bronzo.
L’Area di Sant’Omobono
Altro interessante luogo che ci riporta agli Etruschi si trova a Via Petroselli, di fronte all’Anagrafe e viene ricordato come Area di Sant’Omobono, dal nome della vicina chiesa.
Venuta alla luce nel 1937, ci offre uno spaccato sulla attività edilizia di Servio Tullio, si tratta di due templi gemelli dedicati a Fortuna e Mater Matuta. Il reperto più interessante proveniente da questo scavo è una placchetta d’avorio a forma di leoncino, rinvenuta nel 1975 e risalente al 530 a.C.
Si tratta di una “tessera hospitalis”, il leoncino era stato segato a metà in maniera da dividerlo tra l’offerente e la divinità. Una sorta di patto di amicizia. La cosa più interessante è il nome del personaggio riportato sulla placchetta: ARAZ SILQETENAS SPURIANAS. Un etrusco evidentemente residente a Roma: “Araz” (prenome) “Silqetenas” (gentilizio costituito da un etnico, forse derivato dal nome della città fenicio-punica di Sulci in Sardegna) e “Spurianas” (del clan dei potenti Spuriana).
Gli Spuriana (o Spurinna) erano una delle più potenti famiglie di Tarquinia, titolari della Tomba dell’Orco e ancora presenti all’epoca di Giulio Cesare, fu infatti proprio un indovino appartenente a questa famiglia che disse a Cesare:
“Cesare! Guardati dalle Idi di Marzo!”
…e sappiamo tutti come è andata a finire.
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